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La vita marina

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Il mare ospita la più grande concentrazione di forme di vita esistente sul nostro pianeta: dalle gigantesche balene ai piccoli cavalluci marini. Ogni animale si è evoluto adattandosi per vivere in un determinato habitat e con la loro presenza costituiscono una parte dell’ecosistema di questi luoghi. La teoria dell’evoluzione di Lamarck osservava come le forme di vita mutano continuamente le proprie abitudini e caratteristiche fisiche con lo scopo di aumentare le probabilità di sopravvivenza. Così alcuni animali hanno sviluppato e potenziato alcuni organi lasciando che altri meno importanti si atrofizzassero. I pesci, per esempio, hanno sviluppato un vero e proprio sesto senso costituito dalla linea laterale che utilizzano per captare ogni minimo spostamento d’acqua; allo stesso tempo hanno rinunciato a evolvere una vista eccezionale, infatti, sono miopi. Lamarck però non riuscì mai a dimostrare come queste mutazioni potessero essere tramandate geneticamente.

Nel 1859 Charles Darwin riscosse un grande successo quando pubblicò The Origin of Species by Means of Natural Selection  prodotto durante la permanenza nell’arcipelago delle Galapagos, dal 1831 al 1836. Darwin elaborò la teoria della Selezione Naturale: in ogni generazione solo gli individui che presentano le caratteristiche migliori, in relazione all’ambiente in cui vivono, sopravvivono e si riproducono. In questo, i migliori si riproducono e trasmettono i loro geni alla prole, mentre i più deboli scompaiono portando con sé anche i propri geni “deboli”.

La scoperta di Darwin, pur rappresentando una pietra miliare, è stata approfondita e i ricercatori si sono chiesti perché alcuni individui di una stessa specie sono migliori di altri. Solo nel 1900 s’iniziò a parlare di mutazione, cioè di quel processo casuale e molto lento che cambia il patrimonio genetico delle popolazioni. Questo processo che sta alla base della variazione, è provocato da errori che si formano nella copia del messaggio genetico durante il passaggio da una generazione all’altra ed è quindi ereditario.

La scoperta del codice genetico verso la fine degli anni cinquanta ha permesso di stabilire che tutte le forme viventi hanno la stessa origine, noi compresi. Ma non preoccupatevi non dovete chiamare “sorella” quella zanzara che vi irrita durante le calme sere estive.

Nel mare, come sulla terra, esistono differenti ambienti biologici con diverse forme di vita che li popolano. Scopriamoli insieme.

Gli ambienti biologici

L’oceano si suddivide in numerosi ambienti biologici con caratteristiche proprie. Generalizzando, si può affermare che la maggior quantità di vita si trova vicino alla superficie e alle coste perché in queste zone vi è abbondante disponibilità di luce che permette la fotosintesi. I vegetali, come la posidonia oceanica, sono i produttori primari perché creano le sostanze necessarie alla vita dell’intero ecosistema. Nel periodo primaverile queste e altri vegetali, che insieme formano il fitoplancton, ricoprono per chilometri la superficie dell’oceano con 6 miliardi ½ di tonnellate di germogli, tanto da esser visibili persino dal satellite. Nell’ecosistema marino tutte le forme interagiscono intensamente fra loro rispettando le leggi della catena alimentare. I vegetali sono alla base di tutta la catena e crescono maggiormente in zone con acqua limpida e ricca di sostanze nutritive. Di conseguenza la vita in questi luoghi, come le barriere coralline, sarà più rigogliosa.

I biologi marini non si sono accontentati di queste conoscenze generiche e si sono inoltrati ancor più nella classificazione degli ambienti marini. Prendiamoli d’esempio e seguiamoli.

La prima grande suddivisione che dobbiamo operare è fra ambiente bentonico e pelagico. Quello bentonico è costituito dai fondali marini, dagli organismi che li popolano ed è suddiviso in sette piani che dipendono dalle caratteristiche del fondale e si estendono dalle zone meno profonde alle fosse oceaniche. Il piano sopralitorale che comprende le zone che sono colpite solamente dagli spruzzi delle onde o dalle maree, ma che normalmente rimangono all’asciutto. Questo piano è seguito da quello mesolitorale: compreso fra i limiti di bassa e alta marea. In Mediterraneo quest’ambiente è molto ridotto a causa delle escursioni di marea che si aggirano intorno ai 30 cm. Di seguito incontriamo il piano infralitorale che sprofonda sino a dove arriva la luce necessaria per la fotosintesi. L’ampiezza di questa zona è molto variabile perché è determinata dalla limpidezza dell’acqua che permette alla luce di arrivare più o meno in profondità: si può passare dai pochi metri dell’Adriatico settentrionale agli eccezionali 50 m di alcune isole. Se vi capiterà di fare un’escursione subacquea questa è sicuramente la fascia che visiterete più spesso. Ma scendiamo ancora fino ad incontrare il piano circalitorale che termina dove la scarsità di luce non consente la vita vegetale. Sprofondando ancor più nell’oscurità incontriamo il piano batiale, formato da ripide scarpate che ci fanno precipitare nelle fosse oceaniche dove troviamo il piano abissale e quello adale. Nel Mediterraneo, a causa della sua modesta profondità, gli ultimi due piani non sono presenti. Ma nelle fosse oceaniche i biologi hanno scoperto delle forme di vita sorprendentemente adattate all’oscurità. Per la maggior parte si tratta di piccoli organismi che emanano una luce blu chiamata bioluminescenza. Così a 10000 m sotto la superficie del mare potremmo ammirare un cielo colmo di stelle blu che luccicano continuamente regalando un romanticismo senza precedenti.

L’ambiente pelagico invece, è composto dalle acque libere che sovrastano il fondale e si dividono in due province: quella neritica, sopra alla piattaforma continentale, e quella oceanica che comprende il mare aperto. I biologi hanno diviso anche la colonna d’acqua dell’ambiente pelagico in base alla sua profondità e alle creature che la popolano. Partendo dalla superficie incontriamo in ordine: la zona epipelagica (0-50 m), mesopelagica (50-200 m), infrapelagica (200-600 m), batipelagica (600-2000 m), abissopelagica (2000-7000 m) e adopelagica (oltre 7000 m).

Organismi marini: plancton, necton e benthos

Gli esseri viventi marini si suddividono in due grandi gruppi: bentonico, a cui appartiene il benthos, e pelagico, a cui appartengono il plancton e il necton. Il primo gruppo comprende tutte le creature che vivono prettamente vicino al fondale. Gli organismi pelagici vivono, invece, prevalentemente nelle acque libere dell’oceano. Il plancton comprende tutti gli organismi che essendo incapaci di nuotare, si lasciano trasportare passivamente dalla corrente come le piccole uova dei pesci ma anche organismi notevolmente più grandi, come le meduse. Questa categoria è formata da due sottocategorie: il fitoplancton di origine vegetale, e lo zooplancton di origine animale. Il necton è composto da tutti gli animali che sono in grado di nuotare e contrastare le correnti, come le balene, i delfini, i tonni o i marlin.

Alghe e piante marine

Le alghe e le piante marine appartengono al mondo vegetale e sono di fondamentale importanza per la vita degli oceani perché producono ossigeno. Le alghe non possiedono radici, fusto, foglie, fiori e frutti. Si differenziano in tre categorie: le alghe brune, presenti nei primi metri in luoghi non troppo assolati; le alghe rosse calcaree, presenti sui fondali rocciosi riparati dalla forza delle onde e poco illuminati, sono le principali costituenti del coralligeno; infine le alghe verdi, presenti su fondali sabbiosi e fangosi entro i primi 20 m di profondità.

Le piante marine, al contrario, possiedono radici, fusto, foglie, fiori e frutti, come la posidonia oceanica, presente sottoforma di praterie entro i 40 m di profondità, che ricopre un ruolo importantissimo nell’ecosistema marino per tre motivi:

  1. Ogni metro quadrato di prateria riesce a produrre 14 l di ossigeno al giorno;
  2. Forma un microhabitat ideale per molti organismi viventi sia animali sia vegetali;
  3. Le sue radici permettono un consolidamento delle coste sabbiose che riduce l’erosione dovuta alle violente mareggiate.

Questa pianta usa uno stratagemma davvero curioso per diffondere i suoi semi nel mare: i frutti, chiamati “olive di mare”, quando maturano si staccano dalla pianta, galleggiando sulla superficie del mare. In questo modo vengono trasportate a chilometri di distanza sino a quando terminano le riserve di grasso, cadono sul fondo e dopo alcune settimane iniziano la germinazione.

Le praterie di posidonia, come abbiamo visto, sono fondamentali per la vita marina ma spesso sono distrutte dalle reti e dalle ancore delle imbarcazioni che falciano tutto quello che incontrano. La situazione è grave quanto la distruzione delle grandi foreste del pianeta, come quella amazzonica, solo che a causa della mancanza di informazioni passa inosservata.

Gli animali marini

L’oceano è popolato da oltre 200000 specie animali in continuo aumento grazie alle nuove tecnologie che permettono di esplorare luoghi situati a profondità sempre maggiori. Se pensiamo che negli ultimi anni i biologi, con l’ausilio di speciali minisommergibili, si sono avventurati sino a 5000 m di profondità scoprendo diverse nuove specie, proviamo a immaginare quanto altre esisteranno nella colonna d’acqua al di sotto di questa quota, che nel punto più profondo, la Fossa delle Marianne, raggiunge gli 11000 m di profondità. Questa quota è più del doppio della superficie che conosciamo oggi e chissà, forse in futuro, scopriremo che le creature marine narrate da Verne in Ventimila leghe sotto i mari non erano poi così fantasiose. Ormai è provata l’esistenza del calamaro gigante, lungo oltre 20 metri, che ingaggia violenti scontri con il capodoglio, suo unico predatore, a oltre 1000 m di profondità. Oppure il ritrovamento di un pesce preistorico che si credeva estinto da millenni come il celacanto. Gli abissi ci riservano in questo modo sono avvolti in alone di mistero che ha sempre affascinato la nostra specie.

Sarebbe impossibile presentare tutte le forme viventi che popolano gli oceani, così mi limiterò a esporvi quelle che più facilmente si possono incontrare tuffandosi nel blu del mare.

I pesci

La famiglia più conosciuta è sicuramente quella dei pesci che comprende più di 20000 specie. I pesci sono vertebrati, cioè hanno una spina dorsale composta da tante vertebre che formano una colonna, come accade per l’uomo. Alcuni pesci, come gli squali, non hanno una struttura ossea ma una cartilaginea. Le robuste pinne li rendono abilissimi nuotatori. Ne possiedono di due tipi: pari, come quelle pettorali e ventrali; e impari, come quella dorsale, caudale e anale. La pinna caudale serve per la propulsione mentre le altre fungono da timoni per variare direzione e profondità. La vescica natatoria è un altro strumento fondamentale per nuotare: è una sacca che gonfiandosi e sgonfiandosi, permette ai pesci di variare il loro speso specifico e quindi la profondità in cui nuotano. Anche le casse d’aria dei sommergibili seguono questo semplice principio: quando le casse si riempiono d’aria, il sommergibile emerge, invece quando si svuotano, affonda. Ancora una volta il mare ci ha insegnato qualcosa. La respirazione avviene per mezzo delle branchie che gli permettono di filtrare l’ossigeno presente nell’acqua senza dover respirare aria come fanno i delfini, che, infatti, sono mammiferi. Per proteggere la pelle, la maggior parte dei pesci, sono ricoperti da strutture ossee più o meno resistenti: le squame, come il branzino. Quelli che non le possiedono rimediano producendo del muco che ricopre il pesce svolgendo la stessa funzione delle squame, come il salmone. I pesci percepiscono i suoni grazie a un organo stato-acustico, che assomiglia a delle “orecchie ossee”, posto nel cranio. Anche la vescica natatoria è gli è utile per udire i suoni: infatti, le onde sonore causano delle variazioni di pressione. Alcuni pesci, attraverso alcuni recettori distribuiti sulla pelle, riescono a cambiare il colore della pelle riproducendo quello dell’ambiente circostante, lo scorfano ne è un esempio. Il vero sesto senso dei pesci, però, è dovuto alla presenza della linea laterale: un organo sensoriale posto sui fianchi che gli permette di percepire gli spostamenti d’acqua circostante. Osservando le abitudini di vita dei pesci possiamo dividerli in due gruppi: pelagici, che compiono grandi distanze e vivono in acque libere, come la ricciola o il pesce spada; e bentoniche, più sedentarie che trascorrono la vita vicino al fondo, come il rombo o la rana pescatrice.

 

I mammiferi

Chi pensando alla vastità dell’oceano non s’immagina un gruppo di delfini che salta e gioca in totale libertà? Ecco, vi presento i mammiferi marini, grandi abitanti pelagici degli oceani. Anche le balene, i tursiopi, i grampi o le orche appartengono a questa famiglia. Sono fra i più grandi abitanti dei mari e sono in tutto e per tutto simili ai pesci tranne per quello che riguarda la respirazione e la riproduzione. Infatti, i mammiferi hanno la necessità di respirare aria perché non hanno le branchie ma un sifone da cui prendono e sbattono fuori aria emergendo in superficie.

La riproduzione è uguale a quella degli esseri umani: i piccoli sono pochi e hanno un periodo di gestazione, differente da specie a specie, prima di essere partoriti dalla madre. Al contrario i pesci depongono le uova in grandi quantità.

I crostacei

Il crostaceo più conosciuto è indubbiamente il granchio, visibile in gran quantità sugli scogli che affolliamo durante l’estate, pronto a cibarsi delle briciole del nostro pranzo. Nel cartone animato della Disney, La Sirenetta, lo vediamo rappresentato come musicista di corte del re Tritone. Non so se i granchi abbiano un buon senso della musica, sta di fatto che sia in Profondo Blu sia in Pianeta Blu, incontriamo alcuni di loro che si cimentano in buffi balletti.

Il granchio non si fida molto degli altri e per questo si muove vestendo sempre il carapace: una corazza composta da chitina che è una particolare vitamina presente nel loro corpo. Il carapace è spesso ricoperto da alghe, quest’accorgimento permette al crostaceo di mimetizzarsi meglio con il fondo marino e sfuggire ai predatori. Hanno dieci zampe: otto munite all’estremità da uncini servono per spostarsi e attaccarsi saldamente agli scogli; le ultime due sono le chele, usate per difendersi e per cacciare.

Aragoste, astici e gamberi, invece, sono Macruri: hanno una coda grande esterna e anche loro sono dotate di corazze esterne. I gamberi nuotano utilizzando delle appendici addominali, anche se sono molto più abili a camminare sul fondo dove sono meno vulnerabili.

I coralli e le spugne

I coralli sono dei polipi che vivono isolati o riuniti in colonie incrostanti, come le barriere coralline, e appartengono alla classe degli Antozoi. Questi organismi per sopravvivere adottano due strategie: la cooperazione e l’antagonismo. Nel primo caso i coralli si alleano con un altro essere vivente per interesse reciproco. È il caso di alcuni coralli che si attaccano al carapace dei granchi per farsi trasportare alla ricerca di cibo e il crostaceo, come abbiamo visto prima, riesce a mimetizzarsi meglio. Il secondo caso comprende il parassitismo, la predazione e la competizione per lo spazio vitale.

Le spugne hanno una vita molto più tranquilla del corallo. Sono esseri pluricellulari e non hanno veri e propri organi, muscoli o centri nervosi, presentano però dei fori esterni che utilizzano per filtrare l’acqua e trattenere le sostanze nutritive. Forse in mare non le avrete mai notate ma di sicuro non può esservi sfuggita quella che avete nella doccia.

I molluschi

Questa classe comprende alcuni fra gli animali più buoni dal punto di vista culinario, come le cozze che sono sempre più allevate nell’acquacoltura. Esistono tre gruppi di Molluschi: i Cefalopodi, i Bivalvi e i Gasteropodi.  Il primo gruppo a cui appartiene il polpo sono quelli più evoluti: possono nuotare grazie a all’espulsione di getti d’acqua dal mantello. Questa strategia fa si che si muovano all’indietro. Sono capaci di mimetizzarsi assumendo la colorazione del fondo e sono dotati di tentacoli, che usano per cacciare e attaccarsi alle rocce, che in base al numero, ne determinano anche un’altra classificazione. Gli Ottopodi sono dotati di otto tentacoli, come il polpo; mentre i Dacapodi ne hanno dieci, come la seppia.

I Bivalvi invece, passano tutta l’esistenza attaccati al fondo, come le ostriche: formate da due conchiglie molto resistenti che proteggono il corpo molle che sta all’interno. Questi molluschi usano un piede molto resistente per attaccarsi stabilmente alle rocce.

Infine, i Gasteropodi, come la patella, sono il gruppo intermedio: infatti, presentano una conchiglia sola che ricopre il corpo e usano il piede sia per attaccarsi agli scogli sia per muoversi lentamente.